Un romanzo/XX

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XX.

Si udiva un rumore poco distinto nell’appartamento vicino, e Giulia involontariamente si volse a guardare.

— È mio fratello — continui pure liberamente. Or ora verrà qui anche lui e combineremo per l’affitto; noi già non ci abbiamo nulla a vedere — è un incarico che ci lasciò il proprietario, bravo giovane, che è andato a cercar fortuna in Russia. Dunque ella diceva?....

— Mi angoscia la necessità in cui mi trovo di separarmi da mio marito, non per l’isolamento che mi aspetta e che non potrà ad ogni modo essere maggiore di quello in cui vissi; ma il pensiero di una separazione legale, con formule bollate e registrate, con giudici, con testimoni, tutto ciò mi fa raccapricciare. Vorrei ritirarmi dalla società senza chiasso e senza [p. 168 modifica]scandalo; vorrei uscire dal mondo senza che il mondo mi guardasse.

— Ella avrà scelto senza dubbio un bravo avvocato che condurrà per benino ogni cosa....

— No, non ho fatto ancora nessuna scelta. Il tutore mi aveva proposto un avvocato di grido, ma, per esser sincera, devo dirle che non oso presentarmi a uno sconosciuto nella posizione di una donna che chiede dividersi dal marito.

— Ma poichè ella dice che suo marito acconsente, si potrebbe far motivare la domanda da lui, basandola sul pretesto dei caratteri incompatibili.

— Resta sempre il fatto che io sono nelle mani di uno sconosciuto e, poniamo che acconsentissi alla scelta del tutore, quell’avvocato celebre e famoso non concederà che un interesse secondario a’ miei affari privati. Oh! se sapessi dove rivolgermi....

Giulia si interruppe passando la mano sugli occhi che erano gonfi di lagrime. La signora Chiara parve riflettere alquanto e colla sua aria risoluta e sincera esclamò:

— Non sta a me il vantare persona di mia famiglia, perchè la bocca e il naso sono troppo vicini, e l’uno non deve dire dell’altro nè bene nè male; ma mio fratello, non faccio per dire, ha buona nomina, e quando si prende a cuore una causa è uomo da rimetterci del [p. 169 modifica]suo, nonchè di cavarsi sangue per il prossimo. È un po’ originale, un po’ asciutto, ma le persone non si giudicano dai discorsi. Insomma, ella può provare, se non altro avrà qualche consiglio.

Senza attendere l’adesione di Giulia, che stordita e confusa non sapeva che rispondere, la vivace signora balzò in piedi, andò ad aprire un uscio in fondo alla ’camera, e facendovi passare la testa chiamò:

— Pompeo! Pompeo, puoi venire qui un momento?

L’ombra sottile dell’interpellato si disegnò nel vano dell’uscio abbozzando un inchino, ma invece di avanzarsi si fermò -accanto allo stipite.

La signora Chiara avrebbe desiderato vederlo in luce migliore, tuttavia non osando fargli alcuna rimostranza, si accontentò di eseguire la presentazione reciproca aggiungendo:

— Ma già la conosci — aveva le finestre proprio rimpetto a quelle della tua camera.

Pompeo non disse nè sì nè no. La signora Chiara riprese il filo raccontando la circostanza che aveva fatto capitare in casa loro l’antica vicina, e come la poveretta sfortunata, ecc., cercasse un avvocato, ecc.; insomma una requisitoria che avrebbe fatto onore a un pubblico ministero.

L’avvocato ascoltò attentamente e quando venne il suo turno di parlare mise fuori una voce timida ed [p. 170 modifica]incerta che sorprese moltissimo Giulia, la quale si era sempre immaginata che gli avvocati avessero un organo vocale molto sonoro e rimbombante.

Disse:

— Mi reputo fortunatissimo di poter offrire i miei servigi alla signora, quantunque in una occasione spiacevole. Forse si potrà venire ad un accomodamento?...

L’ultima frase fu pronunciata a voce così fioca, che la signora Chiara alzò la mano sull’orecchio a guisa di tubo acustico. Ma Giulia aveva inteso e rispose prontamente:

— Oh no, non è possibile; al punto in cui siamo la libertà è il maggior regalo ch’io possa fare a mio marito ed egli a me la pace. Le sarò immensamente grata se vorrà aiutarmi in questa spinosa faccenda e farmene uscire col minor rumore che si potrà.

— Ella ha senza dubbio tutte le carte in regola? domandò l’avvocato, sempre accanto all’uscio.

— Dio mio, non troppo. Converrà provvedere....

Là signora Chiara interruppe:

— Provvederemo, provvederemo tutto. L’importante per ora è che questa povera fanciulla abbia la sua camera libera, il suo letticciuolo — c’è anche il pianoforte sa? Ah! sarà soddisfatta certamente; venga, venga a vedere. Pompeo, mi dai la chiave? [p. 171 modifica]

L’impaziente signora seguì Pompeo che era uscito in cerca della chiave, lasciando sola Giulia che tra lieta e pensosa sorrideva alla sua recente amica.

Lasciamola noi pure — già sappiamo che è bene appoggiata — e vediamo cosa facesse Roberto.

Seguire passo a passo resistenza di un innamorato non è cosa tanto facile per il romanziere. Il lettore che ha passato l’età degli amori si annoja — quello che ama ancora non trova mai la passione descritta come la sente lui e in sostanza poi è sempre la medesima litania di desiderii e di disinganni, di palpiti, di lagrime e di sorrisi.

Roberto amava come un pazzo — ecco la frase che riassume tutto — e per sua sventura amava una civetta. Questo, a dir vero è un brutto sostantivo, improprio e niente affatto applicabile alla divina creatura che egli aveva scorto per la prima volta dietro i cristalli di un coupé; sostantivo volgare che io ritratto, perifrasi plebea e ignobile che mi attirerebbe l’odio di Roberto, se Roberto potesse sentirmi.

Ella era perfettamente bella — ma non come un angelo.

Idee di cielo non spiravano da’ suoi nerissimi occhi saettanti, profondi come l’abisso. Aveva varcato la prima gioventù e raggiava di quell’acre bellezza della donna di trent’anni che conosce tutti gli arcani del cuore — [p. 172 modifica]bellezza sensuale e impudica — bellezza ardente e terribile.

Come negli occhi del moribondo si riaccendono le fiamme della vita, vi. è quasi sempre nella donna di trentanni un rincrudimento di desiderii violenti, un ridestarsi di aspirazioni giovanili fatte più audaci nell’esperienza del successo, forti di disperato ardire e ai baldanza temeraria. Età fatale, che segna molte vate il ridicolo quando le grinze di una precoce vecchiaja contrastano collo sviluppo dei sentimenti erotici — età vittoriosa per quelle che possono aggiungere ai pregi di una bellezza naturale le seduzioni irresistibili della bellezza sapiente.

Ella — si chiamava Réa ed era contessa accoppiava la freschezza vellutata di una carnagione giovanile a un pallore pieno di passione; aveva la bocca voluttuosa d’una baccante e il mento tutto a pozzette come un bambino.

Quindici anni di regno l’avevano fatta sicura della sua potenza; sapeva la dose di veleno che convien mettere in uno sguardo per renderlo più o meno assassino; conosceva tutte le ombre e tutte le luci atte a porre in rilievo, i morbidi profili del suo corpo degno di Frine e di Aspasia.

Amore erale ignoto. Lasciva ed incostante, ambiva il dominio assoluto per tramutare i suoi amanti in [p. 173 modifica]schiavi — volubile, spezzava il trastullo che non la divertiva più — ingrata, gettava la coppa dove non era più liquore.

Aveva la ferocia della tigre e la crudeltà della jena — ma quando sorrideva metteva in mostra dentini.candidi e infantili, e non di rado la sua fronte pura come quella di una vergine si copriva di un ingenuo rossore.

Alla prima dichiarazione di Roberto aveva risposto ridendo — egli giurò di volersi ammazzare ed ella lo ammonì che se n’erano già ammazzati quattro, e che alla lunga la tragedia diventava nojosa.

Roberto allora la scongiurò di lasciarsi adorare. La contessa, in un momento di clemenza, gli rispose di mettersi in fila — e Roberto prese posto fra gli ultimi arrivati.

Le cose proseguirono a questo modo per dei mesi parecchi, con grande umiliazione del cavaliere e sempre nuovi trionfi della dama; finchè il marchesino Ipsilonne, reduce dal suo dodicesimo viaggio a Parigi, narrò gli scandali eleganti di una gran signora che s’era innamorata di un pittore e condì il romanzetto con tanti episodii piccanti e dettagli curiosi, che la contessa rimase vivamente impressionata.

Alla mattina seguente ordinò il suo piccolo coupé in un’ora così insolita che fece sbadigliare il cocchiere, [p. 174 modifica]appena destato, e correre la cameriera in cuffia da notte.

Il coupé, misteriosamente chiuso, si fermò davanti all’umile abitazione di Roberto e la contessa, raccogliendo con ambe le manine il lungo strascico di velluto, salì ridendo le cinque scale.

— Voi qui? esclamò Roberto pallido come un morta e non sapendo se tremare o gioire per quella improvvisa apparizione.

— Vi amo! disse la sirena lasciandosi cadere ai piedi l’ampio mantello che la ravvolgeva.

E poi? Io non dirò nulla di quelle ebbrezze. Roberto credette morire.

Certo, se la contessa gli avesse chiesto tutto il sangue delle sue vene egli non avrebbe esitato a darglielo. Ma questo, non le premeva nè punto nè poco.

Ella si guardava attorno godendosi a fare la meravigliata e improvvisando dei piccoli gridi di sorpresa, delle boccuccie che volevano essere ingenue e non riuscivano altro che maliziose — ma adorabili in ogni modo.

A un tratto esclamò:

— Pittura a parte, questa camera sembra una spelonca; se devo venire a trovarvi bisognerà che vi mandi un tappeto, delle poltrone, delle tende....

Il giovane povero arrossì fino alla radice dei capelli. [p. 175 modifica]

— Signora, balbettò, quando mi onorerete ancora tutto sarà pronto.

— E un posapiedi, per il momento?... chiese la bella sibarita agitando sul nudo terreno i suoi piedini aristocratici.

Roberto si inginocchiò e li prese entrambi con una delle sue mani.