Page:Rousseau - Collection complète des œuvres t7.djvu/442

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Pur guardia esser non pub, che ’n tutto celi
Beltà degna, ch’appaja, e che s’ammiri :
Né tu il consenti, Amor ; ma la riveli
D’un giovinetto ai cupidi desiri.
Amor, ch’or cieco, or Argo, ora ne veli
Di benda gli occhi, ora ce gli apri e giri ;
Tu per mille custodie entro ai più casti
Verginei alberghi il guardo altrui portasti.


Colei Sofronia, Olindo egli s’appella,
D’una cittate entrambi, e d’una fede.
Ei che modesto è si, com’essa è bella,
Brama assai, poco spera, e nulla chiede ;
Né sa scoprirsi, o non ardisce : ed ella
O lo sprezza, o nol vede, o non s’avvede.
Cosi finora il misero ha servito
O non visto, o mal noto, o mal gradito.


S’ode l’annunzio intanto, e che s’appresta
Miserabile strage al popol loro.
A lei che generosa è, quanto onesta,
Viene in pensier come salvar costoro.
Move fortezza il gran pensier, l’arresta
Poi la vergogna, e ’l virginal decoro.
Vince fortezza, anzi s’accorda, e face
Se vergognosa, e la vergogna audace.