Page:Dante - La Divine Comédie, Le Purgatoire, trad. Ratisbonne, 1865.djvu/35

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Tu 'l sai, che non ti fu per lei amara
In Utica la morte, ove lasciasti
La veste, ch' al gran dì sarà sì chiara.

Non son gli editti eterni per noi guasti :
Chè questi vive, e Minos me non lega : ,
Ma son del cerchio, ove son gli occhi casti

Di Marzia tua, che ’n vista ancor ti prega,
O santo petto, che per tua la tegni :
Per lo suo amore adunque a noi ti piega.

Lasciane andar per li tuo’ sette regni :
Grazie riporterò di te a lei.
Se d’ esser mentovato laggiù degni.

Marzia piacque tanto agli occhi mici,
Mentre ch' io fui di là, diss’ egli allora,
Che quante grazie voile da me, fei.

Or, che di là dal mal fiume dimora,
Più muover non mi può, per quella legge,
Che fatta fu, quand’ io me n' usci’ fuora.

Ma se donna del ciel ti muove e regge,
Come tu di’, non c’ è mestier lusinga :
Bastiti ben, che per lei mi richegge.

Va dunque, e fa, che tu coslui ricinga
D’ un giunco schietto, e che gli lavi 'l viso,
Sì ch' ogni sucidume quindi stinga :

Chè non si converria l'occhio sorpriso
D’ alcuna nebbia andar davanti al primo
Ministro, ch' è di quei di Paradiso.