Page:Rousseau - Collection complète des œuvres t7.djvu/452

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Alza Sofronia il viso, e umanamente
Con occhi di pietate in lui rimira.
A che ne vieni, o misero innocente ?
Qual consiglio o furor, ti guida o tira ?
Non son io dunque senza te possente
A sostener ciò che d’un uom pub l’ira ?
Ho petto anch’io, ch’ad una morte crede
Di ballar solo, e compagnia non chiede.


Cosi parla all’amante, e nol dispone
Si, ch’egli si disdica, o pensier mute,
O spettacolo grande, ove a tenzone
Sono aurore e magnanima virtute !
Ove la morte al vincitor si pone
In premio ; e’l mal del vinto è la salute.
Ma più s’irrita il Re, quant’ella, ed esso
E’più costante in incolpar se stesso.


Pargli che vilipeso egli ne resti ;
E che ’n disprezzo suo sprezzin le pene.
Credasi, dice, ad ambo, e quella e questi
Vinca, e la palma sia quai si conviene.
Indi accenna ai sergenti, i quai son presti
A legar il garzon di lor catene.
Sono ambo stretti al palo stesso, e volto
E’il tergo al tergo, e’l volto ascoso al volto.